La mia Monticello e altre storie

La mia Monticello e altre storie

Blackout e tempeste scuotono gli Stati Uniti in un futuro molto vicino e molto possibile. Il quartiere di First Street a Charlottesville è preso d’assedio da una banda di suprematisti bianchi. Le case si svuotano, e una piccola comunità di famiglie, amici più qualche estraneo fugge dalla città su un bus abbandonato per trovare rifugio a Monticello, la residenza di Thomas Jefferson: il terzo presidente degli Stati Uniti, considerato uno dei padri della nazione, autore della Dichiarazione d’indipendenza, pur imbevuto di idee illuministe e progressiste non prese mai posizione contro lo schiavismo, ebbe schiavi nella sua tenuta e da una di loro, Sally Hemings, sorellastra della moglie, ebbe dei figli. Da’Naisha Love, la giovane che prende in qualche modo la guida del manipolo di fuggiaschi, è una discendente di Sally, e dunque di Jefferson. Dunque è come se in qualche modo il cerchio si chiudesse quando la dimora del presidente si trasforma da museo a casa d’accoglienza reclamata, in un singolare ribaltamento che è anche una riappropriazione, oppure semplicemente la sola cosa da fare: sono diciannove giorni di paura e speranza, di colloquio coi fantasmi e ricerca di una piccola pace temporanea, quelli che Da’Naisha e gli altri vivono aspettando il peggio e cercando di sperare in un meglio possibile. Un romanzo serrato e commovente, raccontato da una voce aggraziata e coraggiosa, che ci consegna una potente visione di resistenza. Completa il libro una serie di racconti imperniati sull’essere neri nell’America di oggi: migranti, intellettuali, donne sole, tutti impegnati a cercare ciò che viene loro negato, una casa che sia luogo fisico e luogo dell’anima.
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