Libro d'ombra

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Gli scrittori giapponesi del periodo Meiji (1868-1912) erano affascinati dalla luce, che attraverso lo sviluppo della tecnologia aveva illuminato le buie città del paese. La «città senza notte», Tōkyō, simboleggiava la trasformazione del Giappone durante l’epoca della modernizzazione e occidentalizzazione. La luce è un elemento essenziale nei primi racconti di Tanizaki, siano i raggi del sole che fanno risaltare la brillantezza del tatuaggio in Shisei (Il tatuaggio) o la luminosità del candore della pelle delle donne occidentali: bianco e bellezza sono sinonimi. Ma ciò che accentua e dà valore al bianco è l’oscurità. Il bianco in sé non crea nessun effetto estetico, se non nella contrapposizione con il nero. Il bello sta in quello spazio indefinito, in quel vuoto dove si addensa l’ombra che rende la bellezza dell’arte giapponese inseparabile dall’oscurità. Un valore che non è ovvio, ma che si comprende solo alla luce dell’estetica classica nipponica. In In’ei raisan (lett. Elogio dell’ombra) del 1933, questa sensibilità tradizionale è posta come antitetica a quella del moderno Occidente: non è un’inversione di tendenza nei gusti estetici dello scrittore, né un’invettiva contro la modernità, ma la presa di coscienza di come il Paese sia cambiato seguendo un modello di occidentalizzazione che Tanizaki non condivideva.
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