L' eredità dei vivi
L'eredità dei vivi è la storia di una donna, di una famiglia, ed è un romanzo politico, se politica è la lotta da combattere per attraversare i cambiamenti, per godere dei propri diritti, per avere la vita che si desidera avere. E questo romanzo ci dice che anche i sentimenti, anche i corpi, soprattutto i corpi, sono intensamente politici. «Dal momento in cui l’ho incontrata, Rosa mi ha catturato. Con tutti i suoi difetti, non è un personaggio che si dimentica facilmente» - Catherine Dunne Alla fine degli anni Cinquanta, Rosa si trasferisce dal Sud al Nord d’Italia. È una donna intransigente, una combattente. Insegna a sua figlia – colei che ci racconta la storia – che il primo comandamento cui ogni donna deve obbedire è: «Non piangere.» Ed è anche la madre di Francesco, che a causa di un incidente occorso subito dopo il parto soffre di una forte disabilità. Così lei lotta per rendere migliore la vita del suo bambino, e la sua diventa presto una lotta per i diritti di tutti coloro che non possono combattere per se stessi. Nel romanzo, Rosa è una madre della quale la figlia racconta la vita; ma è anche, semplicemente, l’Italia: l’Italia ancora stordita dalla guerra degli anni Cinquanta, quella euforica dei Sessanta, quella turbinosa dei Settanta, quella privatizzata degli Ottanta, quella svuotata dei Novanta. Un’Italia, Rosa, messa alla prova: da un marito da cui sceglie di fuggire, dalla disabilità del figlio, dalla figlia con la quale il rapporto è tanto stretto quanto conflittuale, dai cambiamenti sociali e politici che le avvengono intorno. Ma anche la figlia, che ricorda e racconta, è l’Italia: l’Italia d’oggi, quella che non intende rinunciare alla propria storia, e che vuole inventarne una nuova.
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