L' angelo di Auschwitz. Mala Zimetbaum, l'ebrea che sfidò i nazisti
Tra coloro che riuscirono a fare ritorno da Auschwitz, il nome di Mala Zimetbaum, presto dimenticato dalla grande storia, rimase sempre vivo. Come fu possibile per questa giovane donna restare se stessa nell’inferno del Lager? Che cosa la spinse a sacrificarsi per le compagne? Una straordinaria storia di resistenza, in un racconto che ne fa rivivere l’enigma e la lezione. «Mala era una giovane ebrea polacca che era stata catturata in Belgio e che parlava correntemente molte lingue, perciò a Birkenau fungeva da interprete e da portaordini, e come tale godeva di una certa libertà di spostamento. Era generosa e coraggiosa; aveva aiutato molte compagne, ed era amata da tutte» - Primo Levi, I sommersi e i salvati Dall'adolescenza allo scoppio della guerra, dalla deportazione al tragico epilogo, la storia di Mala Zimetbaum, come quelle di tutti coloro sopravvissuti ai campi concentramento nazisti, è così densa di eroismo e assurdità da essere diventata una leggenda. La protagonista dell'ultimo libro di Frediano Sessi nasce da un a famiglia ebrea polacca, e si trasferisce ancora bambina in Belgio. Imprigionata durante l'occupazione tedesca per le sue idee anti naziste, il suo ultimo viaggio, come per molti, sarà verso Auschwitz-Birkenau, dove verrà registrata a ventisei anni con il numero 19980. Per la sua conoscenza delle lingue (parlava olandese, tedesco, polacco, francese e italiano) viene risparmiata alle camere a gas e impiegata come interprete e fattorina. Grazie suo piccolo privilegio, sfrutterà tutte le occasioni possibili per aiutare di nascosto le sue compagne meno fortunate a sopravvivere, portandogli cibo e rincuorandole, e diventando una leggenda tra i detenuti del campo di sterminio, tra cui Primo Levi, che la ricorderà nel suo libro I sommersi e i salvati. La sua sorte sarà infine segnata dalla fuga dal lager insieme Edek Galiski, anche lui polacco, prigioniero politico di cui si innamorerà e con cui riuscirà a scappare dal campo, per poi essere di nuovo catturata al confine con la Slovacchia, a un passo dalla salvezza. Riportata ad Auschwitz e torturata, prima di essere giustiziata avrà modo di ribadire alle sue compagne ciò che aveva testimoniato con la sua stessa vita: «Non abbiate paura, sorelle! La loro fine è vicina. Ne sono certa. Io lo so, perché ho provato la libertà».
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