Proust e l'abitudine. Identità, memoria, inconscio
Guardando alla mole eccezionale di studi prodotti su Proust nel corso dell'ultimo secolo, risulta presto evidente come il tema dell'abitudine sia stato per lo più trascurato, malgrado i numerosi riferimenti che vi vengono fatti in Alla ricerca del tempo perduto dimostrino l'inequivocabile consapevolezza teorica con la quale l'autore adopera il termine. Il volume, dunque, attraverso un'accurata ricostruzione delle fonti e un'analisi teoretico-estetica del testo proustiano, propone per la prima volta un'interpretazione filosofica sistematica del problema dell'abitudine. I due volti romanzeschi dell'abitudine proustiana – l'arredatrice esperta che permette all'essere umano di stabilirsi nel mondo e di interagire con esso e la divinità terribile che non risparmia i propri strali a chiunque osi contrastarla – descrivono, in realtà, una potenza multiforme che, sottraendosi a ogni determinazione morale, rivela la propria appartenenza a una zona di confine, fra l'identità, la memoria e l'inconscio, ampiamente esplorata dalla filosofia e dalla psicologia dell'epoca. È soltanto, infatti, mettendone alla prova le molteplici relazioni – con le impressioni, con i sentimenti, con i ricordi – che in Proust l'abitudine fa mostra delle proprie qualità meno evidenti e filosoficamente più originali.