Agricoltura e territori nel Mezzogiorno. Dalla «grande trasformazione» europea al secondo dopoguerra (secoli XVIII-XX)
Il fil rouge che attraversa l’intero volume è rappresentato dal ruolo preponderante giocato dalla domanda estera nello stimolare lo sviluppo dell’agricoltura nel Mezzogiorno sia prima che dopo l’unificazione nazionale, e che fu all’origine, nell’ambito del medesimo prodotto, di inediti processi di differenziazione territoriale a una scala sub-regionale. Questa lunga parabola iniziata con la “grande trasformazione” europea, determinata dalla prima rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento e all’interno della quale le regioni dell’Italia meridionale si collocarono come fornitrici di materie prime agricole e semilavorati, conobbe una significativa battuta d’arresto durante il fascismo. Le politiche economiche volute da Mussolini provocarono, infatti, la perdita di competitività dell’agricoltura e furono responsabili del formarsi, anche nel settore primario, di un divario tra Sud Italia e regioni settentrionali. Negli stessi decenni in cui lo sviluppo del triangolo industriale attrasse consistenti flussi migratori, producendo un sensibile aumento della domanda di derrate agricole e un forte incentivo alla modernizzazione delle campagne del Nord-Ovest, la scelta del regime di rivalutare la lira fissandone il cambio a “quota 90”, l’autarchica “battaglia del grano” e l’arenarsi a Sud della bonifica integrale determinarono, da un lato, la drastica riduzione delle esportazioni di prodotti agricoli e, dall’altro, la crescita nel Mezzogiorno delle superfici occupate dalla cerealicoltura estensiva, ben oltre la fine del Ventennio.