Una coscienza europea. Zeno e la tradizione moderna
Svevo scrisse di non avere composto in tutta la sua vita «che un romanzo solo». È una frase a effetto, condivisibile se si vuole intendere non una continuità, ma un'evoluzione: in Zeno ritroviamo le tracce dei suoi predecessori (Alfonso Nitti ed Emilio Brentani, i protagonisti di "Una vita" e "Senilità") che nella Coscienza traghettano la cultura ottocentesca dell'autore, da Balzac a Zola, alla «poesia nera» di Schopenhauer: i nuovi stimoli culturali - da Mann a Joyce, alla psicoanalisi freudiana si fondono con gli antichi senza sostituirli. In tutti e tre i romanzi, Svevo ha affrontato le questioni del "male di vivere", della "malattia", dell'Inettitudine": si tratta di un riconoscibile fondo comune, ma dopo i Buddenbrook e "L'interpretazione dei sogni" - i due testi capitali con cui nasce il Novecento - sarebbe stato difficile, per un intellettuale poroso e problematico come lui, impostare nella Coscienza il problema nello stesso modo. Il volume mette in discussione una diffusa interpretazione della "Coscienza di Zeno", secondo cui Svevo si sarebbe preso gioco della psicoanalisi, e propone una lettura del romanzo all'interno di un sistema di relazioni che include, oltre a tanti classici del moderno (da Flaubert a Mann, da Pirandello a Tozzi), scrittori oggi meno noti come Daudet, Bourget, Ojetti e Benco.