Mi chiamavano piccolo fallimento
Il piccolo ebreo russo Igor Shteyngart, ribattezzato con ruvido affetto paterno "Moccioso" per via dei continui attacchi d'asma, si trasforma, pochi anni dopo essere sbarcato a New York, in Gary, fan adolescente di Ronald Reagan, convinto oppositore del welfare e pervaso di un razzismo profondo quanto infondato. Nel frattempo è stato bollato dagli insegnanti come Fetido Orso Russo per via del suo immancabile cappotto con il collo di pelliccia, ha contrastato il disprezzo dei compagni vestendo i panni di Gnu, autore della Gnorah (un'irriverente parodia della Torah), e si è guadagnato l'appellativo di "Piccolo Fallimento". Un'invenzione amorevole (più o meno) della madre, la prima ad abbandonare l'illusione che quel figlio potesse riscattare con una laurea in legge o in medicina i decennali sacrifici di Papa e Mama, le loro giacche di pelle polacca e il loro pessimo inglese. Ma per smentire le fosche previsioni materne, mettere ordine nella selva delle proprie identità e assicurarsi tutto ciò che desidera - il formaggio della nonna Galja, l'amore di una ragazza, il sospirato contratto editoriale... - Gary ha a disposizione uno strumento formidabile: la scrittura. E scrivendo, infatti, che trova la propria voce, divertente, inventiva e provocatoria, una fonte inesauribile che sgorga da un'esperienza contraddittoria, vissuta a cavallo di due paesi non solo diversi tra loro, ma acerrimi nemici, eppure capace di garantirgli, finalmente, un posto nel mondo.