Disincanto. Paesaggio e realismo
Con il termine “disincanto” questo saggio suggerisce una critica all’antropocentrismo dominante che tenta di ridurre il paesaggio a un semplice riflesso della volontà umana, sostenendo l’impossibilità di ricondurne i caratteri alla mera dialettica tra uomo e natura. Attraverso l’esplorazione di “luoghi comuni” come il mare, la pianura e la montagna, il testo scompone e ricostruisce la nostra esperienza dello spazio per svelarne significati nascosti e configurazioni emergenti. Affine alle posizioni dell’ontologia orientata agli oggetti di Graham Harman, l’autore invita ad accettare la forza delle cose e la loro autonomia, identificando nel medium‐paesaggio non solo il loro tramite, ma anche l’agente che le trasforma, grazie alla sua capacità di fungere da metafora attiva. Il libro stimola ad andare oltre le tendenze del processualismo e del performativismo ambientale, recuperando invece nelle forme del paesaggio una rinnovata sensibilità verso l’autonomia estetica del progetto. Lobosco individua nell’azzeramento simultaneo di forma e funzione una possibile strategia per puntare alle profondità del reale e stabilire una nuova intimità con gli oggetti. In tale prospettiva, l’esercizio del disincanto rappresenta un passaggio obbligato per superare l’apparenza esplicita delle cose e re-incantarsi del loro mistero.
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