L' epos impossibile. Il mito di Enea nel Novecento
«Virgilio è, oggi, ancora abbastanza vivo per portare il peso del nostro destino?», si chiedeva Maurice Blanchot. Si potrebbe estendere l'interrogativo anche al suo personaggio più famoso: depositato nelle pieghe della memoria, collettiva e individuale, il mito di Enea ha occupato anche nel Novecento un posto di straordinario rilievo nell'immaginario dell'Occidente. Negli anni tormentati tra le due guerre molti intellettuali, tra cui Eliot, Curtius e Broch, individuarono in Virgilio una centralità e una solidità da contrapporre al dilagante caos che portò all'avvento dei fascismi. Dopo la guerra poeti come Giorgio Caproni e Giuseppe Ungaretti restituirono senso e significato alla tradizione classica e in particolare all'eredità virgiliana, deformata e strumentalizzata dalla retorica del regime. Questo studio si sofferma inoltre sulle narrazioni e le infinite metamorfosi del personaggio di Enea nella letteratura del Novecento: tra abbassamenti parodici e inversioni di segno, Carlo Emilio Gadda, Luigi Malerba, Giuliano Gramigna e Sebastiano Vassalli restituiscono voce a un personaggio che fa dell'empietà la sua cifra distintiva. E oggi? Svaniti i compagni, perduto il padre, nelle rielaborazioni contemporanee Enea non è più l'eroe dal destino luminoso, ma l'uomo in fuga dalle troppe guerre che affliggono il presente: lo sconfitto, l'esule che affronta con disperazione il mare, esposto a nuovi drammatici naufragi. L'eroe ha dunque ancora molto da dirci.