La fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti (1945-1956)
A cento anni dalla fondazione del Pci, torna in una nuova edizione un libro che ha esplorato nuove strade per ricostruire e raccontare la storia politica del dopoguerra. «Chi legge La fabbrica del passato – ha scritto Carlo Ginzburg nella prefazione – avrà a tratti l’impressione di immergersi in un libro di fantascienza: un’esperienza che l’aiuterà a guardare con occhi nuovi l’enigmatico presente in cui viviamo».«Valorizzando al meglio la fonte che studia, Boarelli fa capire quali modelli testuali e letterari influivano sulla redazione di questi racconti di sé che, pur inquadrati da una griglia rigidissima, non impedivano scarti e allontanamenti dalla norma» - Internazionale Nel primo decennio del dopoguerra, il Partito comunista italiano obbligava i suoi militanti a narrare pubblicamente e a scrivere la propria autobiografia. Questa pratica era importata dall'Unione Sovietica, ma le sue radici erano ancora più antiche della Rivoluzione d'ottobre. Perché il partito rivolgeva alla propria base una simile richiesta? Perché i militanti aderivano senza riserve (almeno in apparenza) a una pratica che provocava anche sofferenza? Qual era l'intreccio tra la coazione e il desiderio di scrivere? Il libro intende rispondere a queste domande sulla base del più vasto fondo documentario esistente in Italia, che raccoglie oltre milleduecento autobiografie scritte da comunisti bolognesi. La ricerca intreccia molteplici punti di osservazione: il rapporto tra la pratica autobiografica e la religione, la riproduzione degli squilibri nei processi di alfabetizzazione come fondamento dei rapporti di potere all'interno dell'organizzazione politica, l'importanza delle letture dei militanti nella costruzione dei racconti, e infine gli scarti tra la narrazione e la norma che pretendeva di regolarla.
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