Contro il metodo in architettura. Episodi e temi dell'Architectural Association 1968-1982

Contro il metodo in architettura. Episodi e temi dell'Architectural Association 1968-1982

L’Architectural Association degli anni Settanta ha segnato un passaggio di paradigma per le scuole di architettura, ricoprendo per le ultime avanguardie del Novecento il ruolo svolto dalla Bauhaus per le avanguardie moderne. «Manfredo di Robilant fa emergere le trame che stanno dietro a un'istituzione che si è proposta di insegnare a progettare il mondo e quindi di darne un'interpretazione. Una simile missione ha richiesto il dosaggio attento di realtà e finzione, consenso e dissenso, utopia e pragmatismo; e soprattutto la costruzione di una narrazione convincente per i contemporanei e i posteri.» - il Sole 24 Ore Come tutte le Facoltà di Architettura, anche l’Architectural Association degli anni qui trattati – che vanno dalla grande rivolta studentesca fino all’inizio del thatcherismo – ha dovuto creare una fictio, un racconto sulla realtà fuori dalle proprie mura, che col passare degli anni si sarebbe inverato nel futuro dei suoi studenti. Mentre nello stesso periodo la simulazione degli scenari futuri nelle scuole di architettura scommetteva per lo più su una palingenesi che avrebbe portato al socialismo, la narrazione dell’Architectural Association è risultata – volontariamente o meno – quella storicamente più realistica, prevedendo l’affermazione del neoliberismo globale e l’urbanizzazione del mondo. Il volume espone una “storia per temi” della scuola londinese, diretta dal 1971 da Alvin Boyarsky. È un’indagine sulla genealogia dell’architettura contemporanea, in cui compaiono molti protagonisti della scena globale attuale – fra gli altri, Peter Cook, Elia Zenghelis, Rem Koolhaas, Bernard Tschumi, Daniel Libeskind, Zaha Hadid – nella veste di giovani insegnanti o studenti. La scena è, fisicamente, un piccolo edificio nel quartiere londinese di Bloomsbury, adattato a Facoltà. Nelle sue stanze si discute su come una nuova architettura radicale possa prendere forma dalla crisi culturale e professionale del decennio successivo al fatidico ’68. A emergere, ancor prima che i nomi dei protagonisti, è un nuovo atteggiamento – tanto pragmatico quanto disinvoltamente asistematico – nel modo di concepire il rapporto tra architettura, città e pubblico: «una scuola senza formula, senza metodo, e senza una visione collettiva» secondo Di Robilant, sorprendentemente in linea con le tesi del libro di Paul Feyerabend, Contro il metodo (1975). Da questa scuola è uscita l’idea, ancora egemone, di un’architettura globale e “metropolista”.
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