Il buffone e il re. Il gioco del bambino e il sapere dell'adulto
Per lungo tempo il gioco è stato considerato un fenomeno irrilevante, una dimensione marginale dell'esperienza, una manifestazione da rilegare in 'riserve' temporali - come l'infanzia - e culturali - come il 'loisir' e il passatempo. La sua rivalutazione, parallela alla 'scoperta' dell'età bambina, non lo ha del tutto guarito da questa residualità.L'attività ludica sfida le definizioni e si presta elusivamente al gioco delle interpretazioni. Sinonimo di infanzia o luogo di origine della cultura, strumento adattivo di integrazione o modalità eversiva di trasgressione, momento evolutivo o regressivo, segno di ripetitività o di innovazione creativa, il gioco è stato oggetto, negli ultimi decenni, di molteplici letture. Il volume non solo offre a questo proposito una selezione ragionata dei temi principali proposti da approcci diversi (antropologico, psicologico, psicanalitico) al fenomeno ludico ma li interroga per trovarvi risposta a un problema eminentemente educativo, quello della propedeuticità e della formalità dell'attività ludica infantile. In questa prospettiva il gioco, per il bambino, appare come spazio potenziale di crescita, luogo di esercizio e di creazione della possibilità; per il sapere pedagogico il distanziamento simbolico tra la cosa e il suo nome, tra me e l'altro, che il gioco inaugura, diventa terreno da sostenere e coltivare. In questo consiste l'educabilità del gioco. Il valore educativo sta invece nel significato sociale attribuito ai suoi esiti, significato che non è insito nel gioco stesso ma dipende da un atto culturale di legittimazione. Quando ciò accade, il buffone, sovrano di un regno 'altro' e deforme, può diventare re e imporre la sua inedita e peculiare visione del mondo. Come il buffone, anche il bambino può uscire dalla marginalità dell'infanzia a patto che l'adulto e il suo sapere riconoscano e valorizzino le potenzialità del suo apparentemente effimero giocare.
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