Teoria della novella e teoria del riso nel Cinquecento
La connessione tra il riso e la novella più che dimostrare la fortuna di quest'ultima nel Cinquecento, fortuna il cui humus è da ricercarsi negli ambienti e nei valori espressi dalla letteratura cortese dei secoli precedenti, ne evidenzia fortemente i limiti storici e la sua portata culturale. Perché la novella viene considerato da sempre un genere letterario minore rispetto ad altri? L'autore non ce lo dice esplicitamente, ma traspare abbondantemente dalle sue riflessioni e quando non ci riesce il lettore accorto può intuirlo abbastanza facilmente. La novella ha un'origine favolistica; anzi, spesso, novella e favola sono usati come sinonimi, non solo per sottolineare la brevità del racconto, ma anche, e soprattutto, la semplicità della struttura narrativa e la leggerezza calviniana dell'intreccio. L'autore ammette onestamente come la novellistica favolista dei trattatisti cinquecenteschi come Sansovino e Bargagli avesse come target principale il pubblico femminile, le 'private compagnie' e le 'brigate' di amici spensierati, che avevano come unico desiderio il 'sollazzo', la voglia di divertirsi fine a se stessa, per sfuggire alle ansie della vita e non pensare ai patimenti che essa arrecava. Ma si dimentica di dire, chissà quanti volutamente, che le novelle nate in ambiente cortese, avevano come fine precipuo l'intrattenimento del signore e della sua corte da parte del cortigiano intellettuale al suo servizio. E che nonostante i motti, le facezie e quant'altro confacente ai battibecchi di natura licenziosa e nonostante altresì la primogenitura nobile rappresentata dal Decameron del Boccaccio, la novella aveva come fine precipuo un messaggio di sostanziale conformismo ai dettami del potere politico che, tramite il suo apparato, del quale faceva parte, non senza un qualche tornaconto, l'intellettuale, mirava a far credere che il mondo creato dal signore arrecasse felicità ai suoi sudditi. La novella torna ad essere la buona novella che si legge nel Vangelo, senza le sue tensioni morali, sostituite da abbondanti riferimenti scurrili e di facile presa sul popolino ignorante. Il fine è lo stesso: indicare a tutti la via maestra per il raggiungimento della felicità. Cambiano i mezzi. Di qua la preghiera e l'esortazione morale, di là le abbuffate di cibo, le belle donne e gli sberleffi degli intellettuali travestiti da guitti. Sarebbe stato poi interessante andare oltre i confini italiani e del cinquecento stesso per vedere il tentativo del Cervantes, ai primi del Seicento di emancipare la novella dalla primogenitura nobile boccaccesca.
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