In difesa della democrazia
Natan Sharansky ha trascorso nove anni nelle prigioni sovietiche a causa delle sue idee. Una volta uscito, ha raggiunto Israele dove è diventato attivista politico e ministro per Gerusalemme e per le questioni della Diaspora. In questo saggio brillante e appassionato, scritto con il giornalista Ron Dermer, il primo dissidente liberato da Gorbaciov attinge alla sua duplice esperienza per mostrare come il futuro del mondo dipenda dalla democratizzazione delle società oppresse, e non da una tolleranza di dubbia efficacia nei confronti dei loro governi. Un regime totalitario non sarà mai un terreno fertile per la pace e la stabilità; e stringere rapporti con uno Stato che reprime il dissenso e calpesta la libertà significa alimentare il potenziale di un partner imprevedibile e inaffidabile. "La democrazia che odia è meno pericolosa del dittatore che ama." Questa tesi fu recepita in pieno negli anni Ottanta, quando l'Occidente innescò un processo che portò alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, e gli autori la ripropongono in questa travagliata epoca post 11 settembre, minacciata dal terrorismo dell'Islam radicale, dal Medio Oriente in fiamme e dalla corsa agli armamenti di Iran e Corea del Nord. La sicurezza globale, ribadisce Sharansky, dipende dall'agire con ogni leva - morale, politica, finanziaria - per sostituire la democrazia all'assolutismo, soprattutto in quei Paesi che una corrente d'opinione definisce 'non ancora pronti' o addirittura virtualmente non vocati e che in realtà possiedono una forte tensione interna verso forme garanti della libertà d'espressione. E per sostenere e promuovere questo progetto auspica, in luogo delle grandi organizzazioni mondiali, ormai destituite di credibilità, "una nuova istituzione internazionale in cui avranno il diritto di essere ascoltati e di avere un peso solo quei governi che concedonc al loro popolo di dissentire". Un libro che solleva questioni scomode ma aperto alle speranza di un futuro migliore.
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