Lettera al Papa
Questa lunga lettera di Paolo Mosca al Papa, non nasce sull'emotività dell'ultima malattia che ha colpito il Pontefice. L'idea di inviargliela "con riconoscenza e amore" nasce qualche mese fa, durante un Angelus domenicale, quando Giovanni Paolo II impallidì e dovette interrompere il suo discorso ansimando: "Aiuto, datemi da bere". Bastò qualche sorso da un bicchiere portato da una mano provvidenziale, poi lui sorrise e ricominciò a parlare con voce rauca, tra gli applausi della folla di piazza San Pietro. E' in quel momento che Mosca ha preso d'istinto la penna: "Caro Papa..." L'autore sostiene di avere reso omaggio con questa lettera, che viene dal cuore, all'uomo che il mondo intero ammira e ama al di là di ogni convinzione religiosa. Un esempio unico, soprattutto per i giovani, di rispetto nei confronti della vita: miracolosa fino all'ultimo respiro. Una lettera che "ricorda" a Karol Wojtyla le tappe della sua avventura terrena: orfano di madre a soli nove anni, studente appassionato di teatro, atleta delle montagne, operaio di fatica, prete solitario e battagliero, fino alla cattedra di San Pietro. Nell'entusiasmo, Mosca 'si permette' di dare del tu al Papa: ma lo fa con la tenerezza di un figlio nei confronti di quello che lui chiama "il mio secondo padre". "Con me", sostiene l'autore, "sento che questa lettera l'hanno scritta milioni di creature sparse sul pianeta, che dopo ventisei anni di Pontificato, considerano Wojtyla un anziano parente da amare e da accompagnare con dolcezza nella sua sofferenza." La sua vicenda umana è senza precedenti sin dall'attentato alla sua vita del 13 maggio 1981. Mosca ripercorre con emozione i viaggi storici, come quello da Fidel Castro; quelli mistici a Fatima e Lourdes; quelli dei suoi "mea culpa" ad Auschwitz o al Muro del Pianto di Gerusalemme... Una lettera dedicata a un uomo che ha pronunciato 12.000 discorsi, circa 15 milioni di parole, equivalenti a 18 volte l'intera Bibbia. Ma forse sono state soltanto tre le parole con cui lui passerà alla storia: Pace, Amore e quel "Grazie", sussurrato in mondovisione dalla finestra del Policlinico Gemelli domenica 6 febbraio 2005.
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