I libri che perdevano le parole
Una vecchia libreria inglese, un caffè su un'isola greca, un'osteria con bocciofila della periferia milanese, un polveroso emporio in una sperduta località del bush australiano... e altri luoghi ancora - luoghi di passaggio e sosta di un'umanità varia - sono i punti di partenza o di transito delle storie di ordinaria a/normalità proposte da Tullio Dobner in questo esordio narrativo. La sua fantasia, ora perfida, ora cinica, ora compassionevole, indugia sui risvolti imprevedibili e grotteschi della nostra quotidianità, sublimandoli in conclusioni dove "il grano di follia" rappresenta la sola vera, ragionevole soluzione a una certa condizione esistenziale cui i suoi personaggi vogliono sfuggire. O, forse, che allo steso autore va stretta, tant'è che, come Hitchcock compariva fuggevolmente in ciascuno dei suoi film, anche Dobner sembra far capolino tra le righe del libro, esercitando un'insinuante, sottile influenza cui il lettore dovrebbe cercare di sottrarsi. Perché Dobner, quando ci si mette, riesce a portarti lontano, in qualche posto remoto, dentro o fuori di te, da cui poi fatichi a tornare...
Momentaneamente non ordinabile