Gli armeni. 1915-1916: il genocidio dimenticato
Gli armeni vivevano fin dal VII secolo a. C. in una regione fra il Caucaso, la Mesopotamia e l'Anatolia. Convertiti al cristianesimo, finirono sotto il dominio degli arabi e poi degli ottomani. Nell'Ottocento, furono coinvolti nelle contese fra la Russia e l'Impero ottomano per il controllo del Caucaso, e mentre si sviluppava un movimento di rinascita nazionale, subirono una violenta persecuzione da parte del Comitato dell'Unione e del progresso, il partito dei Giovani Turchi che aveva preso il potere a Istanbul. Nel 1915, la persecuzione divenne genocidio: una deportazione dell'intero popolo armeno si tradusse nello sterminio consapevole di un milione e mezzo di persone. La colpa degli Armeni era gravissima: oltre a essere cristiani, avevano una propria lingua e una cultura millenaria, e la loro presenza avrebbe impedito il progetto di ricongiungere Istanbul ai popoli turcofoni dell'Asia centrale. Quello armeno fu il primo genocidio perpetrato nel Ventesimo secolo e prefigurò sinistramente gli altri a venire. Tuttavia, parlarne è stato per decenni, se non proibito, considerato inopportuno; e l'ostinato negazionismo storico, abbracciato in Turchia dai regimi che si sono finora succeduti, è stato accompagnato da una serie di contorsionismi dei governi europei, volti ad attenuare, distinguere, negare la realtà dei fatti accaduti in Anatolia durante la Prima guerra mondiale. Solo negli anni Settanta il caso è stato riaperto nelle sedi internazionali: l'ONU, e più tardi il Parlamento europeo, hanno riconosciuto la realtà storica dell'olocausto armeno. In questo libro, pubblicato nel 1977, riaggiornato nel 1996 e oggi proposto per la prima volta in Italia, Yves Ternon ricostruisce con grande passione civile la storia di un popolo perseguitato e della sua pagina più tragica, contribuendo a farci riflettere sul tema- attualissimo- della sopravvivenza delle etnie e delle culture di fronte a un nazionalismo segnato dall'intolleranza razziale e religiosa. Ma il colpevole- ammonisce con forza l'autore- "non è solo colui che uccide": fino a quando la politica internazionale permetterà atteggiamenti compiacenti, il rischio è, oggi come allora, che la ragion di Stato prevalga sulla salvaguardia dei diritti umani, e che i popoli debbano pagare con la propria esistenza il prezzo di biechi interessi politici ed economici.
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