1979
Teheran 1979: nella calma sospesa che precede il crollo del regime dello scià sotto i colpi della rivoluzione di Khomeini, un giovane occidentale (il narratore che racconta in prima persona la sua storia) partecipa con l'amico e amante Christopher a una festa in una lussuosa villa. Quando Christopher, già malato, soccombe all'alcol e alle droghe, il narratore comincia un viaggio agli inferi che lo porterà dai bassifondi di Teheran a migliaia di chilometri di distanza, in Tibet, in un pellegrinaggio di purificazione attorno al mente Kailas, e agli abissi d'orrore di un campo di lavoro cinese. La voce inconfondibile del narratore di 1979 - un dandy indifferente alle sofferenze dei popoli che visita - è provocatoria e scorretta come quella di Michel Houellebecq, e il suo racconto è l'amara parodia dei grandi viaggi di Robert Byron e Bruce Chatwin: l'Oriente non è più il luogo della scoperta (di altre culture, di sé ), ma uno specchio oscuro in cui l'Occidente vede riflesse solo la propria inadeguatezza e le proprie brutture. Con una prosa scarna, levigata, sorvegliatissima, Christian Kracht descrive il paesaggio con rovina delle idee e delle ideologie - il materialismo comunista, il comunismo, la rivoluzione islamica, lo spiritualismo orientale - e il suo sguardo disincantato illumina la grottesca mancanza di senso del nostro mondo.
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