Quando vivevo nel domani
Nell'aprile del 1946 Evelyn, ventenne inglese sola al mondo dopo la morte della mamma, si imbarca per la Palestina. A spingerla, vaghe curiosità, progetti indistinti, un'incerta consapevolezza della propria identità ebraica. La tappa iniziale del viaggio è un kibbutz fondato da ebrei russi: un micro-universo utopico dove la vita materiale ha regole durissime, ma la tensione ideale è palpabile, sconvolgente per Evelyn quanto la lingua sconosciuta o la pienezza sensuale di un paesaggio dai colori violenti, dove il sole ferisce la pelle bianca di chi è cresciuto a Londra. Ma ben presto, già temprata dalla prima esperienza, la protagonista scivola in un'altra vicenda: si trasferisce a Tel Aviv, la città bianca che, nel rigore stesso dell'architettura Bauhaus, sembra realizzare il sogno di un mondo nuovo. Qui trova un lavoro, un amore, accetta fino in fondo le proprie radici ebraiche e, influenzata dal suo amante, aderisce alla causa sionista. Fino a quando, in una ultima, brusca inversione di rotta, Evelyn viene catturata dagli inglesi ed espulsa dal paese. E' il 1947, la vigilia della nascita dello stato di Israele: Evelyn, privata della patria che non ha mai posseduto, affronta ancora una volta l'ignoto. E' incinta, e sa di poter contare su se stessa, su una forza dolorosamente conquistata. A Tel Aviv, ormai ingrigita dall'usura del tempo, Evelyn tornerà solo da vecchia, per ripercorrere il filo dolceamaro della stagione più intensa della sua vita.
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