Come se io non ci fossi
Una giovane donna bosniaca di origine musulmana, che al lettore è nota soltanto come S., partorisce un bambino in un ospedale di Stoccolma. S., reduce da un campo di prigionia, si era resa conto di essere incinta dopo essere stata liberata. La nascita del figlio, per il quale prova da principio solo indifferenza ed estraneità, spinge la donna a ripercorrere la sua esperienza, soffermandosi con lucida sofferenza su episodi e sensazioni. Nella primavera del 1992, S. viene strappata al villaggio dove vive per opera dei serbi. Nulla l'aveva preparata a questo evento, nemmeno la recente misteriosa "scomparsa" dei genitori e della sorella dal loro appuntamento di Sarajevo. La donna è incredula e disperata mentre sceglie che cosa portare con sé in quel viaggio pieno di incertezze, un viaggio che le svelerà un mondo di fame, di tortura, di morte. Viene internata nella sezione femminile di un campo di detenzione serbo-bosniaco, un regno di crudeltà dove tutte le norme del vivere civile vengono sistematicamente violate. Selezionata per la cosiddetta "stanza delle donne" insieme a un gruppo di compagne di sventura, è costretta a subire il sadismo e la violenza dei soldati ubriachi, che ogni notte abusano delle prigioniere. Battuta, stuprata, umiliata, la donna conosce anche un'altra terribile punizione: restare incinta di questo orrore puro. Alla fine, S. deciderà che il figlio che sta per nascere è una sorta di malattia, da cui si libererà immediatamente dopo il parto. Ma, nelle ultime pagine del libro, scossa dal pianto del neonato, S., quasi per istinto, lo prende tra le braccia e lo nutre. Forse è l'inizio del perdono. O è solo la vita che vince sulla morte.
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