Gli insegnamenti di don Juan
Nel 1968 una casa editrice universitaria della California pubblicava la singolare tesi di dottorato di uno studente di antropologia. Era il frutto di cinque anni di apprendistato dell'autore presso uno sciamano Yaqui, don Juan Matus, che in una serie di dialoghi rivelava una concezione del mondo (l'antica sapienza degli sciamani messicani) radicalmente alternativa rispetto a quella razionalista della civiltà occidentale. "A mia insaputa" scrive l'autore, Carlos Castaneda "il mio compito passò misteriosamente dalla semplice raccolta di dati antropologici all'interiorizzazione dei nuovi processi cognitivi del mondo sciamanico." Nella 'cognizione sciamanica', ciò che conta davvero è l'incontro dell'uomo con 'l'infinito'; la facoltà da acquisire è il 'vedere', "l'atto di percepire direttamente l'energia che fluisce nell'universo"; un metodo per raggiungere questa facoltà è l'uso rituale di piante sacre agli indiani del Messico come il 'peyote' (o il 'mescalito', come preferisce chiamarlo don Juan). Non è difficile immaginare lo straordianario potere di suggestione esercitato da quella tesi di dottorato sulle generazioni che diedero vita alla rivolta degli anni Settanta e alla New Age. Rizzoli inaugura oggi la pubblicazione dell'opera completa di Castaneda proprio con quel suo capolavoro. Questa nuova edizione è arricchita da un testo introduttivo inedito in Italia, scritto da Castaneda nel 1998, a poche settimane dalla morte: una profonda meditazione sull'influsso che l'incontro con don Juan, e la stesura di questo libro, hanno avuto sulla vita dell'autore e, di conseguenza, sulla vita di milioni di lettori che, in tutto il mondo, hanno riconosciuto in lui il proprio maestro spirituale.
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