Scusate, dimenticavo
"...Se c'è un ruolo che detesto è quello del giudice, anche perchè spesso mi sono sentito imputato...": così Enzo Biagi nelle prime pagine di questo libro, che conclude la trilogia del "vecchio cronista" iniziatasi con "L'albero dai fiori bianchi" e "Lunga è la notte". Una dichiarazione che riassume il senso di queste pagine e di quelle precedenti. Quante storie, quanti incontri, quanti personaggi in questi ricordi reclamano da noi un momento di attenzione. Faulkner, Hemingway, Golo Mann (figlio del grande Thomas), la nipote di Lenin, Sabin, Toscanini e tanti, tanti esseri il cui nome non sarà mai ricordato dalla Storia, ma che l'hanno attraversata con il loro dolore, la loro dignità offesa, la loro umanità stravolta. I cittadini senza nome di una Sarajevo dilaniata da un'assurda guerra, le fragili ragazze vietnamite che vendevano ai GI il loro corpo, i martiri dell'Olocausto, i bambini affamati del Corno d'Africa. Ma non manca (e come potrebbe?) anche il ricordo affettuoso di grandi amici: Montanelli, Ansaldo, Bacchelli, Fellini... E poi il richiamo della sua terra, sull'Appennino bolognese, dove tutti si conoscono e non c'è bisogno di chiudere a chiave la porta di casa. Quante storie, quanti ricordi, quante emozioni: una confessione serena di chi è in pace con se stesso, perchè ha sempre tentato, cercando di conoscere gli "altri" di attuare l'ammonimento di un antico sapiente greco: "Conosci te stesso". E spesso, molto spesso Biagi è riuscito a realizzarlo.
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