Dialoghi (2 vol.)
I "Dialoghi" di Torquato Tasso nacquero senza un piano prestabilito, seguendo il filo degli impulsi, degli incontri e delle letture. Tasso cominciò a scriverli nel 1566. Cercava di fondere l'"esquisito" e il "severo", in una "facilità" che divenisse "piacevolezza": tentava di armonizzare i doni dell'accademico e quelli del gentiluomo, la ricchezza del sapere e la trasparenza signorile della lingua. Li riprese poi nel 1578, quando la sua vena epica pareva esaurita. Allora era preda di un malessere profondo, che lo portava a smarrimenti, sospetti, delusioni, fughe. Vedeva attorno a sé topi diabolici. Udiva voci minacciose. Si sentiva un nuovo Oreste: uno straniero in esilio, "scacciato dalla cittadianza del mondo tutto". Così scrivere i "Dialoghi" fu per lui, in primo luogo, una terapia, che lo salvò dalla terribile angoscia della vita quotidiana. Toccò tutti i temi: la nobiltà, la cortesia, l'onore, il piacere, la casa, l'amore, la pietà, la gelosia, la dignità, il gioco, la maschera, l'amicizia e la bellezza. Leggeva Platone con "meraviglioso diletto"; e cercò di far rinascere nei suoi "Dialoghi" "quell'arte, quella sottilità, quell'eleganza e varietà di concetti".I "Dialoghi" sono uno dei capolavori sconosciuti della letteratura italiana. Chi li legge, prova lo stesso piacere che proverebbe leggendo i "Saggi" di Montaigne e le "Operette" leopardiane.
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