Lettere portoghesi-Guilleragues parla di se stesso

Lettere portoghesi-Guilleragues parla di se stesso

Nel 1669, per i ceebri tipi dell'editore Barbin, escono anonime a Parigi cinque misteriose "Lettere portoghesi": le avrebbe scritte una monaca, nel chiuso di un convento dell'Algarve, al suo giovane amante, un ufficiale francese che ha avuto il torto di abbandonarla. Il pubblico, ed è quello assai avvertito che frequenta le pagine di La Rochefoucauld come le rappresentazioni di Racine e di Molière, ne resta avvinto: il destino tragico dell'eroina commuove, la sua potenza passionale è sentita come scandalosa e 'autentica', e continuerà a soggiogare lettori del calibro di Rousseau, di Stendhal ("bisogna amare come la monaca portoghese"), di Rilke... Pure, se autentico apparve ai più il sentimento che dava fuoco a quelle pagine, e quasi un paradigma dell''anima lusitana', non pochi sono coloro che hanno visto in esse un prodotto squisito di finzione letteraria, intuendo nell'ombra la mano di uno scrittore francese di prim'ordine. Maggiore indiziato di tanto scandalo e maestria fu quasi subito un gentiluomo ben noto al suo tempo, e non uno scrittore di professione ma un alto magistrato quale il visconte di Guilleragues, segretario di Luigi XIV e futuro ambasciatore a Costantinopoli. Nasceva dunque un caso letterario intrigatee destinato a protrarsi fino ai nostri giorni. Frédéric Deloffre, che delle "Portoghesi" è oggi il principale studioso, ne ripercorre la storia in un esemplare saggio che introduce il testo.
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