Natura divina (La)
Testo latino a fronte.Nel panorama della letteratura divina - assai scarso, per quanto ci è pervenuto, di opere a carattere teologico - acquista particolare rilievo il trattato sulla "Natura divina", composto da Cicerone fra il 45 e il 44 a.C., nell'ambito di un vasto progetto di divulgazione filosofica. Strutturato in forma di dialogo, il trattato è condotto secondo la tecnica propria della dialettica accademica, consistente nel discutere il pro ed il contro di una medesima tesi. A confronto sono le concezioni del divino proposte dai due sistemi filosofici più diffusi nella cultura del tempo: epicureismo e stoicismo. Gli epicurei vedevano gli dei come esseri eternamente beati, ma indifferenti al destino degli uomini, mentre gli stoici celebravano la provvidenza divina, riconoscendo la presenza di dio nell'ordine e nell'armonia del cosmo. Cicerone assume come modello di riferimento la religione romana, rappresentata dal complesso delle credenze tramandate da generazioni e codificate da un sistema di culto condotto secondo l'uso degli antenati. La teologia epicurea, negando la sollecitudine degli dei per le cose del mondo e isolandoli in un universo di remota perfezione, sottrae a questo modello un elemento essenziale, poiché recide il rapporto fra l'uomo e gli dei, garanti del suo successo terreno; quella stoica, conferendo al mondo stesso connotati soprannaturali, aggiunge al modello tratti ad esso estranei, fino a far coincidere il divino con la totalità. Le conclusioni si attestano sul versante critico, senza proporre argomenti che travalichino i confini della religione ufficiale. Ma il valore dell'opera è l'articolazione impressa al dibattito filosofico, che caratterizza la contrapposizione fra i due modelli teologici, rilevandoli assiologicamente proprio nel divario delle tipologie espressive.
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