Osservazioni sulla tortura

Frutto maturo dell'operosità del più acuto 'maitre-à-penser' della nostra letteratura illuministica, le "Osservazioni sulla tortura" - composte fra il 1770 e il 1777 - condensano e in qualche misura concludono un lungo arco di riflessioni sul problema della giustizia penale, al cui centro si pone l'esemplare trattato "Dei delitti e delle pene" (1764) di C. Beccaria, che fu, come si sa, elaborato in stretta collaborazione con lo stesso Verri. Il quale, proprio da successivi ripensamenti e insoddisfazioni relative all'opera dell'amico, fu indotto a riprendere la questione, sviluppandola non tanto sul piano delle argomentazioni teoriche quanto nel contesto di concreti riferimenti storici, che Beccaria aveva ignorato. Il nucleo dello scritto, volutamente scevro da "eloquenza" e orpelli stilistici, è dato dalla ricostruzione documentaria del processo agli untori, celebrato a Milano in mezzo all'imperversare della peste del 1630, e conclusosi con la condanna e la barbara esecuzione dei due principali imputati: un grande "caso" giudiziario, cui si volgerà più tardi, aprendolo a più ampia fama letteraria, l'attenzione commossa di Manzoni nella "Storia della Colonna Infame". Lontano da quelle che saranno le istanze religiose di Manzoni, Verri ricostruisce il caso con originale procedimento narrativo, operando un abile montaggio dei nudi resoconti processuali, che attraverso la voce stessa dei testimoni dischiudono lo spaccato realisticamente aspro di una Milano seicentesca abietta e plebea, illuminando al tempo stesso le crepe profonde di un sistema giudiziario segnato di superstizione, oscurantismo, violenza. Opera di intensa e drammatica denuncia, le "Osservazioni sulla tortura" stimolano una riflessione che oltrepassa il perimetro storico di pertinenza, suggerendo - come rileva G. Carnazzi nella sua informatissima e penetrante introduzione, molteplici addentellati con problemi tuttora affioranti nel persistente dibattito odierno sulla giustizia.