Piccole tragedie
"Testo russo a fronte. Il 20 agosto 1830 morì lo zio di Puskin; il suo matrimonio veniva rimandato di giorno in giorno: in preda all'angoscia, esasperato dall'ennesimo litigio con la fidanzata, Puskin partì per il governatorato di Nizni Novgorod, dove il padre possedeva un migliaio di anime. L'autunno era la sua stagione preferita: la poesia si svegliava in lui, finalmente libera: ""E' allora / che uno sciame di ospiti invisibili, / nati dal sogno, vecchi conoscenti, viene a me"". Strano viaggio: Puskin fuggì da Mosca proprio verso i luoghi colpiti dal colera - verso la peste, la morte. Appena arrivato a Boldino, l'umor nero lo abbandonò, lasciando spazio al piacere del tranquillo isolamento. Con meravigliosa fecondità, scrisse le quattro piccole tragedie, ""I racconti di Belkin"", un poema e parte dell'""Onegin"". Circondato dai rumori inquietanti della notte, si rese conto che la sua fuga era stata una condanna. Comprese che non c'è salvezza per gli uomini di fronte al Fato: né per chi vuole fronteggiarlo, né per chi vuole imitarlo; e che bisogna accettare 'les voies communes', di cui parlava Montaigne. Come dice Onegin: ""Adesso il mio ideale è una buona moglie, / i miei desideri - un po' di pace / e un bel paiolo di minestra"". Venne assalito dai ricordi, e volle chiudere la sua partita col passato. ""Le piccole tragedie"", che la Bur presenta nella traduzione di Serena Vitale, accompagnata dal più bel saggio italiano su Puskin, ci mostrano il volto più buio e tenebroso del sole della poesia russa. Il genio ""allegro e leggero"" di Puskin viaggia nelle contrade ctonie, corteggia le lusinghe del non-essere, insegue, come Walsingham, le fantastiche visioni che sorgono dalla terra. La notte è il tempo sovrano di questa folgorante successione di agonie. Manca la luce - manca anche l'aria. Grava una soffocante sensazione di chiuso. La scena è piena di ombre. Tutti gli eroi sono portatori di morte."
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