Il Saraceno
“Adesso basta parlare, sto male" dice Italo Filone, buttando giù le pillole che prende da quando ha deciso di disintossicarsi dagli oppiacei. Le magnetiche tavole del Saraceno, però, dimostrano che questo rancoroso papà quarantenne – fumettista e tuttofare dell’editoria milanese – si sente meglio solo se lo lasciano parlare. Soprattutto se un breve soggiorno nella città in cui è cresciuto, Crotone, lo costringe a rivivere il momento in cui da bambino scoprì che i grandi non sanno quanto vale un segreto. O quella volta che, a vent’anni, la smania di lasciare la Calabria si andò a schiantare contro due ossessioni incompatibili: l’approvazione di suo padre e l’eroina. Se non fosse stato schiacciato dal senso di colpa, Italo non avrebbe mai accettato di dare una mano nel ristorante di suo padre, un microcosmo adulto e minaccioso. Ne è passato di tempo da quelle estati di inadeguatezza, ma la loro eco non si è spenta. Riaffiffiora negli scontri tra Italo e la moglie, nelle sue feroci tirate contro il pubblico del fumetto e i colleghi di successo. Se gli alter ego letterari di Philip Roth sembrano vivere entro i paradossali confifini di una barzelletta ebraica, quello di Filosa è incastrato in un vertiginoso spettacolo di marionette in cui dà voce a tutti i ruoli, perché Italo è al contempo il paladino, la principessa e il pirata saraceno: l’eroe, la vittima e il nemico di se stesso. Sa che non smetterà mai di combattere allo specchio, ma non sa per quanto ancora potrà tenere fede alle scelte più importanti della sua vita: essere padre, restare sobrio e fare fumetti, tre impegni che richiedono grande devozione e ripagano molto lentamente.
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