Canti di Castelvecchio
Come diceva Pascoli, i "Canti di Castelvecchio" sono in primo luogo "canti di uccelli: di pettirossi, di capinere, di cardellini, d'allodole, di rosignoli, di cuculi, d'assiuoli, di fringuelli, di passeri, di forasiepe, di tortore, di cincie, di verlette, di saltimpali, di rondini e rondini che tornano e che vanno e che restano". La piccola orchestra da camera delle "Myricae" si è prodigiosamente dilatata; e ora il poeta, con un orecchio che non è mai stato così preciso, raccoglie gli innumerevoli suoni della natura - i canti degli uccelli nel bosco, un volo di passero, una foglia che cade, la musica degli astri lontani, le misteriose voci notturne, voci di fiumi e di treni, voci dei morti, voci dell'invisibile.I "canti di Castelvecchio" comprendono le poesie che Pascoli ha affidato alla memoria di tutti gli italiani, insieme alle poesie più sconosciute e ardite, che ce lo rendono miracolosamente vicino. Ecco la nebbia, che favorisce la nostra ossessiva clausura e insieme ci fascia d'infinito: ecco i girovaghi, queste figure metafisiche che si inoltrano nella terra desolata dell'Appennino: ecco il telescopio fissato sulle minime apparenze della vita quotidiana e il cannocchiale rovesciato sugli astri: ecco i giochi con gli spettri, quanto di più inquietante vi è nel mondo, rappresentati col ritmo della canzonetta; e la fine dell'universo, il crollo dei mondi, il silenzio definitivo che si instaura negli spazi.I "Canti di Castelvecchio" sono il libro più difficile di Pascoli: dove sono più ricche le allusioni, le analogie, i rapporti segreti, i tentativi di una lingua quasi cifrata. Il commento di Giuseppe Nava, il maggiore studioso di Pascoli che oggi viva in Italia, sarà per tutti una sorpresa: molti luoghi, fino a oggi oscuri, verranno illuminati di nuova luce.
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