Milano ventesimo secolo. Storia della capitale morale da Bava Beccaris all'anno 2000
"Montanelli, che era toscano sino in fondo, aveva fatto di Milano l'epicentro della sua attività. Riconosceva e indicava a tutti la dote di questa città di rendersi ospitale con chiunque volesse realizzare le proprie aspirazioni. Ma se Milano gli ha dato molto, Montanelli ha dato ancora di più alla sua grandezza. L'ha costretta a giudicarsi." Con queste parole, pronunciate il 22 luglio 2002 in occasione di una pubblica cerimonia, il sindaco di Milano, Gabriele Albertini, non si limitava a dedicare alla memoria di Montanelli i giardini pubblici di via Palestro, ma tracciava lucidamente il rapporto che unì da sempre il grande giornalista alla capitale lombarda. Lui, toscano al cento per cento, aveva scelto Milano come "sua personalissima" città d'adozione e pochi come lui ne seppero individuare pregi e difetti, amarla e sferzarla, essere dalla stessa amato e detestato, conoscerla nei suoi umori più profondi. Questo libro, scritto a quattro mani con Mario Cervi, suo amico e compagno di tante imprese giornalistiche ed editoriali, uscì per la prima volta nel 1990: prendeva le mosse dalle cannonate di Bava Beccaris e terminava con la prepotente entrata sulla scena politica della Lega di Umberto Bossi. Il successo fu clamoroso, e a questo libro Indro Montanelli e Mario Cervi erano profondamente affezionati e ne progettavano un'edizione aggiornata all'anno 2000, volendo fare, per così dire, il bilancio di un secolo di Milano, città che, nel bene e nel male, è sempre stata il laboratorio politico, e non solo, del nostro Paese. Scomparso Montanelli, Mario Cervi ha adempiuto a questo impegno con Indro e con Milano, aggiornando "Milano ventesimo secolo" a tutto l'anno 2000. Ma attenzione: lo ha fatto servendosi di materiale già pubblicato nella "Storia d'Italia" e raccordando da par suo i diversi brani tra loro. Non c'è e non ci sarà mai un misterioso baule da cui scaturiranno all'improvviso 'inediti' di Indro Montanelli: quanto intendeva dire l'ha detto e scritto, e non era certo nel suo carattere lasciare che 'qualcuno' si appropriasse del suo nome e cercasse di parlare con la sua voce. "Oh bischero, ma che tu fai!" avrebbe detto.
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