Come l'America fu costretta a farsi scoprire
Come nelle sue precedenti narrazioni storiche ("Garibaldi ha dormito qui", 1995 e "La Repubblica Romana ha i giorni contati", 1998) con un espediente letterario che gli è consueto, Riccardo Pazzaglia, anziché con Garibaldi e con Mazzini, questa volta parte come inviato speciale con Cristoforo Colombo per la 'empresa descubridora', inventandosi perfino di utilizzare un manoscritto trovato a Cadice. "3 agosto 1492. Oggi è venerdì. E' l'alba. L'aria è ancora fresca. Salgo a bordo della Santa Maria dietro al mio collega, lo scrivano Rodrigo de Escobedo. Ciascuno di noi scriverà il giornale di tutto ciò che accadrà dalla partenza in poi." Di questa avvincente ricostruzione storica Riccardo Pazzaglia è l'unico personaggio non vero. Tutti gli altri, dai sonanti nomi spagnoli - e anche qualche impronunciabile nome azteco o inca - sono stati da lui meticolosamente rintracciati e imbarcati per salpare da Palos e costringere ancora una volta l'America a farsi scoprire. Ma questo scrittore che si fa scrivano è lo stesso brillante umorista che ha scritto "Il brodo primordiale" (Rizzoli 1985). La ricostruzione storica è curata anche nei dettagli più inediti, ripescati - come l'Autore è solito fare - dalle miscellanee delle biblioteche, ma i fatti sono narrati con la sua ben nota, impassibile ironia. Sapremo, sconcertati, quanta parte, nel 'descubrimiento', abbia avuto la suocera di Colombo; che le tre caravelle erano due; di come l'America prese il nome da un certo Vespucci, modesto impiegato di una società mercantile per i rifornimenti navali; sapremo i trucchi dell''Almirante de la Mar Oceana' per non rivelare dove sia stato esattamente e non lo sa bene neanche lui, al punto che, dopo tante isole, quando tocca l'America vera non se ne accorge e non scende neppure a terra a prenderne possesso.
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