La veglia di Venere. Pervigilium Veneris. Testo latino a fronte
La "Veglia di Venere" (il "Pervigilium Veneris"), carme latino giuntoci anonimo, è un'esaltazione della figura di Venere, nell'imminenza di una sua celebrazione notturna. A scandire il tempo futuro del rito, il celebre ritornello: "cras amet qui numquam amavit, quique amavit cras amet". Sebbene a tutt'oggi se ne discuta datazione e paternità, il "Pervigilium" è divenuto nel corso dei secoli il simbolo culturale di una fine e di un inizio: la poesia latina offrirebbe qui uno dei suoi ultimi fiori, preludendo, al contempo, a una nuova e già moderna sensibilità (così, ad esempio, nel romanzo "Mario l'epicureo" di W. Pater). Fino alla conclusione, infatti, il carme sembrerebbe muoversi nei modi oggettivi di forme classiche, l'epitalamio o l'inno. Ma negli ultimi, inattesi, versi, alle fantasie corali di vergini e ninfe si sostituisce un'accesissima, distruttiva, individualità: il poeta (o forse una poetessa) rivela di vivere in un presente infelice, invoca un futuro di gioie e lamenta la propria condanna al silenzio, la perdita della Musa e del favore di Apollo. Come la felicità dell'amore e della bellezza, così anche le diverse immagini classiche di poesia che ne erano state espressione (da Catullo e Orazio a Saffo, da Virgilio a Lucrezio) si rivelano ora oggetti lontani. Del "Pervigilium Veneris" si fornisce qui un testo critico e una nuova traduzione, corredati di un dettagliato commento. In appendice, una breve antologia di poesie latine sul tema della rosa.
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