La seconda volta che ho visto Roma
La capitale raccontata da Marco Corona è quella paralizzata dalla neve dello scorso inverno e quella che si scioglie nell'arsura delle torride estati del nuovo secolo; è la città occupata dai tedeschi nel 1943 e quella scossa dai fatti di via Gradoli; è la Roma dei centri sociali autogestiti e ancora, allo stesso tempo, la madre dell'Impero devastata dalle fiamme nel 64 dopo Cristo. E un organismo vivente, mostro e regina; lo specchio in cui un Paese sempre uguale proietta di epoca in epoca il proprio impietoso riflesso. Così nelle coloratissime tavole di Corona la patria di antichi e nuovi stornellatori - in un presente dai contorni onirici, eppure terribilmente reale - è schiacciata dal giogo dell'ennesimo imperatore, Ferocius, che ne percorre le strade in auto blu per poi essere aggredito dalla folla con una statuetta del Colosseo; e la realtà sognata si sovrappone in modo pericoloso a quella vissuta, in un racconto assieme dolce e spietato che narra come mai prima d'ora tutto il disagio e tutta la passione che l'amore per il proprio Paese possono scatenare.
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