Educazione alla felicità. La lezione di Hesse e Tagore (Un')
La felicità, dicono due grandi maestri della parola e del pensiero come Hermann Hesse e Rabindranath Tagore, non è il privilegio di pochi né uno stato d'animo occasionale e fuggevole: sta dietro una porta che ogni uomo come ogni donna può aprire se l'ha cercata con pazienza e con un umile sforzo di apprendimento e di conquista. I due scrittori e premi Nobel sono apparentemente assai diversi tra loro, l'uno viene dal cuore della cultura indiana, l'altro dal centro della vecchia Europa, l'uno è un perenne viaggiatore, l'altro un ostinato sedentario. Eppure esiste tra loro una straordinaria affinità. Le loro opere continuano a essere lette e il loro messaggio è raccolto a distanza di molti decenni da milioni di lettori in tutto il mondo e infiniti visitatori si recano ogni giorno a vedere le dimore che hanno abitato e dove se ne conserva il ricordo. Entrambi hanno intuito che la strada verso la felicità si fonda su piccole e semplici cose: il legame con la natura, l'amore del prossimo e del diverso, il rifiuto dei dogmi e la ricerca di verità anche in altre religioni e culture. La felicità si può coltivare come un giardiniere coltiva i propri fiori. E quale metafora migliore di un giardino? - scrive Flavia Arzeni. Un giardino è solo in parte nostro, perché appartiene in realtà alla natura e ha tempi e ritmi da cui possiamo solo imparare. Lavorare nella natura è un esercizio di meditazione dove l'insegnamento di Hesse e di Tagore si traduce nella pratica (e nel simbolo) di uno spazio verde creato dall'uomo. Un'oasi di stabilità e di ordine dove troviamo la risposta agli interrogativi dell'esistenza e la nostra porzione di felicità.
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