Rembrandt

Rembrandt

"Diceva Marcel Duchamp che è impossibile, forse addirittura blasfemo, commentare un'opera d'arte. Solo gli occhi e un determinato atteggiamento mentale possono collocarci in giusta disposizione davanti a una tela, una scultura, un'incisione. La parola è non solo arbitraria ma insolente e ridicola, e rischia sempre di sovrapporsi a quanto la tela o la scultura dicono. La parola può tradire. Inoltre: chi siamo noi, uomini d'oggi? E con quali metri possiamo misurare il frutto d'un'arte antica? Tre secoli esatti ci dividono da Rembrandt, una distanza infinita. Noi abbiamo perduto la nostra misura, mentre un europeo del Seicento era davvero il signore dell'universo. Rembrandt e noi: corre una differenza come tra la sua "Lezione d'anatomia" del 1632 e il documentario cinematografico d'una operazione sul cuore. Che è già un altro cuore. Il Seicento fu certamente l'ultimo dei secoli d'oro. Subito dopo, corroso e svanito l'oro, dovettero inventare i Lumi. Il Seicento è il grande teatro, è la sicurezza di un continente battagliero e soddisfatto, l'Europa. Quando Rembrandt muore, nel 1669, Newton ha appena scomposto la luce, Molière ha messo in scena il "Misantropo", Milton concluso il suo "Paradiso perduto". Un grande sipario sta per calare sugli orgogli e le certezze dell'uomo europeo, anche se i suoi atti di dominio lo illuderanno ancora per lungo tempo. (dalla presentazione di Giovanni Arpino)
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