La seconda Dora
Nitido, inatteso e a tratti scolpito, il nuovo romanzo di Silvia Ballestra è il racconto di una vicenda d'amore nell'epoca oscura delle dittature e delle persecuzioni razziali in Europa, ma anche la storia di una donna, Dora Levi, che a sedici anni è costretta ad abbandonare la religione ebraica per professare quella cristiana. Divenendo in certo modo una persona nuova, una 'credente' nuova, che pur restando per molto tempo una 'cristiana della domenica', deciderà infine d'impegnarsi - ormai anziana e maestra in pensione - nell'insegnamento della religione cattolica ai fanciulli. Eppure Dora continuerà a pregare il padre ebreo e fervente nazionalista, scomparso nel 1944, volgendosi spiritualmente a Israele, secondo la religione ebraica in cui era stata immersa fino all'adolescenza. Che sia sintomo di incoerenza? Una volta il controverso filosofo tedesco Heidegger, ormai vecchio, a un amico che si stupiva di vederlo prendere dell'acquasanta e genuflettersi di fronte a chiese e cappei e, dato che in gioventù si era allontanato dai dogmi della Chiesa, rispose che occorreva pensare storicamente, e che dove si era pregato tanto, il divino era vicino in modo del tutto particolare. Ma a parte questo, seguendo le vicende di Dora fino ai bei capitoli conclusivi, il lettore giungerà in vista d'una limpida serie di accenni ai modi e al mondo in cui all'ex maestra Levi toccherà di condurre a compimento la propria esistenza. Sempre le era rimasto, in fondo al modo d'essere insegnante, un semplice ammaestramento che non aveva appreso dalla madre angloitaliana Chiara Hemerett ma da una vecchia insegnante di latino, "e questo ammaestramento era contenuto nell'etimologia della parola 'educare': educare, amava ripetere Dora, significava 'ex ducere', e cioè portar fuori. Non: imporre, o travasare, o condurre sulla retta via, ma proprio portar fuori". Ossia aiutare a realizzarsi, a pensare, a criticare. Ad aprirsi verso il mondo usando, ciascun fanciullo destinato a divenire adulto, tutte le sue facoltà.