Giotto

Giotto

Credo, non è presunzione, di avere avuto per Giotto - oserei dire: con Giotto - un incontro privilegiato. Due o tre mesi dopo l'entrata in guerra, nel '40, ero di passaggio a Padova, e arrivato di corsa nella cappella degli Scrovegni la trovai tutta assediata da impalcature. Avevano messo mano da poco ai lavori di ingabbiarnento e di protezione degli affreschi; ed io, disperato di non vederli, scavalcando travi e sacchi di sabbia, aiutandomi a una carrucola che portava su materiali, ero salito sui ponti, svelto conte un carpentiere, e di colpo ecco che stavo a due passi da quella galleria perpetua di figure, faccia a faccia, potevo allungare le mani, toccarle. Nessuno venne a interrompermi; la visita durò l'intera mattinata, sino al mal d'occhi. Gli operai andavano e venivano; forse avranno creduto che fossi un ispettore, tanto mi vedevano attento ed intento; ma anche se ero un 'non addetto ai lavori', o un intruso, gli operai, soprattutto in quelle stanche giornate di guerra, avevano altro da fare e da pensare. Mi batteva letteralmente il cuore per l'emozione di guardare Giotto così insperatamente, quando avevo temuto di non riuscire a vedere niente; ma un pò era anche la paura continua d'essere sbattuto giù da un momento all'altro; e più tardi, tanto più vennero avanti le sciagure e le rovine, io ricordavo più volte, con maggiore struggimento, quella febbrile, quasi febbricitante, visita di guerra a Giotto. (Dalla Presentazione di Giancarlo Vigorelli)
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