Van Gogh
Con Van Gogh comincia il dramma dell'artista che si sente escluso da una società che non utilizza il suo lavoro, e ne fa un disadattato, candidato alla follia e al suicidio. Non soltanto l'artista: una società pragmatistica che assegna al lavoro il solo fine del profitto non può che respingere chi, pensoso della condizione e del destino dell'umanità, smaschera la sua cattiva coscienza. Il posto di Van Gogh è accanto a Kierkegaard, a Dostoevskij: come costoro s'interroga, pieno d'angoscia, sul significato dell'esistenza, del proprio essere-nel-mondo. E, naturalmente, si pone dalla parte dei diseredati, delle vittime: i lavoratori sfruttati, i contadini a cui l'industria, con la terra ed il pane, toglie il sentimento dell'eticità e della religiosità del lavoro. Non è pittore per vocazione, ma per disperazione. Aveva tentato di inserirsi nell'ordine sociale, era stato respinto; si era dato all'apostolato religioso facendosi pastore e missionario tra i minatori del Borinage, ma la Chiesa ufficiale, solidale con i padroni, l'aveva espulso. A trent'anni si rivolta, la sua rivolta è la pittura: la pagherà con il manicomio e il suicidio. (Dalla Presentazione di Giulio Carlo Argan)
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