Raimondo Lullo. Una teologia per la missione
Raimondo Lullo (1235-1316), figura singolare di pensatore, snobbato dai suoi contemporanei, attentamente letto e stimato da filosofi rinascimentali e moderni come Cusano, Bruno e Leibniz, è ancora oggi, nell'era dell'informatica, oggetto di grande interesse. Nasce sull'isola di Maiorca da poco liberata dal dominio musulmano. Cavaliere, amante della poesia trovadorica, sposato con figli, a trent'anni fu drammaticamente costretto a lasciare la sua famiglia e le sue occupazioni per una sconvolgente crisi religiosa. Così lui stesso riassume il senso della sua vita da lì in avanti: "Tutto abbandonai per onorare Dio ed esaltare la fede. Imparai l'arabo e andai più volte a predicare ai Saraceni ( ... ), fui catturato, imprigionato e percosso ( ... ). Ora vecchio e povero mantengo questo proposito e lo manterrò con l'aiuto di Dio fino alla morte". Il rilievo che egli ha nella storia del pensiero lo deve al suo impegno missionario: "per dedicare la vita alla conversione degli infedeli" intraprese un'esistenza ricca di eventi, di slanci apostolici, di progetti di studio, nel tentativo di conquistare alla razionalità della verità cristiana gli infedeli. La missione per lui deve consistere fondamentalmente in un dibattito teologico serrato con la finalità di convertire in primo luogo i responsabili delle comunità e gli intellettuali. A tale scopo escogita e rielabora continuamente uno strumento tecnico, un''arte', in grado di mediare tutte le 'verità' (delle scienze, delle fedi religiose, ecc., insomma di tutti i linguaggi significativi) nell'unica verità, quella che per Lullo risplende nel fondo della rivelazione cristiana e della natura e che attende appunto l'artificio per poter essere argomentata e accolta dalla razionalità dell'infedele. Egli nutre l'idea di scomporre i saperi (incluse le fedi) nei loro elementi fondamentali, quasi fossero mattoni con cui si possa costruire una verità liberata dagli equivoci. Un sapere dunque quello di Lullo unificato, ma non per questo mortificato nella capacità inventiva di nuove 'verità', cioè di sempre nuove conferme o rifrazioni in tutte le realtà particolari e concrete dell'unica eterna verità.
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