Cina, la società armoniosa. Sfruttamento e resistenza degli operai migranti
Dietro le vetrine del Made in China si intravvede ben poco delle condizioni di vita e di lavoro di quanti producono nell'Officina del mondo. Questo libro di Pun Ngai e di vari coautori getta un fascio di luce sulle condizioni delle operaie e degli operai cinesi ormai inseriti nel capitalismo globale. Non dalla campagna alla città, ma dalle campagne alle enormi fabbriche-dormitorio: questo è l'attuale destino per i migranti interni in Cina, un destino che trova una forte ed epocale contestazione. Con l'ingresso dell'economia cinese nell'arena internazionale alla fine degli anni Settanta, lo stato e in generale la sfera pubblica si sono progressivamente disimpegnati dall'area della protezione sociale, con la conseguenza di un ritorno a condizioni di lavoro tipiche di un passato che non passa, sebbene dissimulate da prodotti ad alta tecnologia. Perduta la comunità originaria, gli ex contadini inurbati nelle periferie delle metropoli hanno creato nuovi legami in un processo di proletarizzazione tutt'altro che concluso. Se le prime generazioni di migranti chiedevano senza rivendicare, le nuove generazioni vivono un'enorme divaricazione tra le aspettative di vita e le esperienze di lavoro, e rivendicano. Con o senza una contrattazione formale, questa forza lavoro ha così tentato e in parte è riuscita a porre dei limiti allo sfruttamento. Nel colossale processo di inurbamento e di industrializzazione, quella cinese è una classe operaia presente a se stessa.
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