Parola di scultore
Mi appassiono alla scrittura come estremo tentativo di liberazione migratoria e transumante. Vagolando tra luoghi sconosciuti, la scrittura svuota a mia insaputa la polla satura di incalzanti immaginazioni. Il pensiero rasserenato si acquieta e si ricarica il meccanismo della visione, di cui trarranno profitto il disegno e la scultura, forse. Scrivo tutto quanto oggettivamente non è possibile porre in essere nella scultura, ma la penna incrocia mimetizzati trabocchetti: quelli di un'intima e privata confessione strappata senza violenze. Ma è troppo dilettevole perdersi nell'immaginazione della parola che simula nella memoria quel viaggio lontano facendone l'idea stessa di ogni viaggio. Allora divenendo irrinunciabile la scrittura, indosso lo scafandro e precipito in un mare di alfabeti spesso sconosciuti: come il volto finto dei brutti sogni. Mi piace la levità della trasgressione impura e irregolare e il fantasma di un'immagine che attende di essere riorganizzata in carnale riconoscibilità. Ma gli strumenti sono impropri e forse la parola risulterà ispida e ferrigna: come un ferro ardente che, battuto sull'incudine da un fabbro ferraio attende, tra un colpo e l'altro, di apparire definitivamente un chiodo. Un chiodo fisso.
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