Si fa presto a dire nucleare. Riflessioni di un nuclearista non pentito
A sentire certi politici del fare o certi ecologisti convertiti dell'ultima ora, sembrerebbe che l'Italia sia oggi il paese più entusiasta e convinto delle virtù del nucleare. E vero che nel paese non c'è una sola centrale attiva, ma - dicono - è tutta colpa del referendum del 1987 e di alcuni abili manipolatori del pensiero collettivo. Per rimediare ai danni che ne sono seguiti, abbattere i costi dell'elettricità ed essere competitivi bisogna dunque rientrare nel settore. Una scelta condivisibile, sostiene l'autore, da nuclearista convinto ma non fazioso qual è; una scelta tuttavia maledettamente complessa che richiede molte condizioni a partire da una forte condivisione politica e sociale. Per questo ripercorre con sferzante e amara ironia la travagliata storia del nucleare italiano sgombrando il campo da alcune verità di comodo (il referendum come «presunto colpevole») e cercando di trarne degli insegnamenti per il futuro. Per non replicare quegli stessi errori, per evitare altri sprechi, danni e illusioni.
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