La «maschia avvocatura». Istituzioni e professione forense in epoca fascista (1922-1943)
La "maschia avvocatura" è l'enfatica espressione che Aldo Vecchini, segretario del Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, utilizzò negli anni Trenta dedicando al padre Arturo, anche lui avvocato, il suo libro su "La missione dell'avvocato nuovo". Tra il 1926 (data della prima legge fascista sulla professione forense) e il 1943, il regime cercò tenacemente di condizionare e inquadrare nei suoi ranghi l'avvocatura italiana, riducendola alla propria misura totalitaria. Vi riuscì solo in parte, perché la tradizione, i codici di comportamento, lo stile e i modelli della professione resistettero, forse anche soltanto per semplice inerzia, alla trasformazione imposta dall'alto. Utilizzando per la prima volta la documentazione del Consiglio nazionale forense e un'ampia serie di fonti archivistiche e a stampa, questo libro ricostruisce le vicende istituzionali dell'avvocatura fascista, puntando lo sguardo sul funzionamento concreto degli organismi di governo della professione: gli Ordini, i Sindacati, il Consiglio superiore forense, il Ministero della giustizia. Nel volume, insieme ai cambiamenti sociologici della professione forense, spicca la persecuzione contro gli avvocati ebrei, nei cui confronti gli organismi professionali non seppero e non vollero opporre nessuna resistenza.
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