Dove non arriva la legge. Dottrine della censura nella prima età moderna
Verso la fine del XVI secolo Jean Bodin, giurista francese, decide di aprire la sezione dedicata all'amministrazione dello Stato nella sua "République", l'opera in cui prende forma il moderno principio di sovranità, proprio con un capitolo sulla censura: non una censura ecclesiastica, ma secolare, che ha il suo modello nella censura morale e politica della Roma di età repubblicana. In essa il censimento, utile strumento di rilevazione delle persone e dei beni, si lega con un insieme di tecniche di controllo e di regolamentazione della società che, attraverso l'imposizione di una disciplina dei costumi, aspira a vincolare la coscienza dei soggetti. Sulla scia di Bodin altri importanti trattatisti politici del tempo, fra i quali Pierre Grégoire, Giusto Lipsio, Johannes Althusius e Johann Angelius Werdenhagen, tornano a considerare l'antico istituto romano per esaminare, con soluzioni giuridico-politiche interessanti e diverse, le prospettive di una sua restituzione in chiave moderna. In un'epoca che ha sullo sfondo le guerre di religione, la censura appare un possibile rimedio a pericolosi disordini e dilanianti divisioni interni allo Stato. Il fondamentale dato in comune fra tali dottrine rimane, in ogni caso, l'idea di uno strumento capace d'intervenire sugli abusi e sui comportamenti devianti che non sono perseguibili per le vie della giustizia ordinaria, uno strumento in grado di arrivare là dove non arriva la legge.
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