Donne e diritti. Dalla sentenza Mortara del 1906 alla prima avvocata italiana
Come scrive Guido Alpa, presidente del Consiglio Nazionale Forense, nella presentazione del volume, il "diritto al femminile è una lunga storia di una 'deminutio' innanzitutto sociale, poi politica, e in definitiva morale subita dalle donne nel corso dei secoli". Si sa che nel 1945-46 il Governo Bonomi estese il diritto di voto e di elettorato passivo alle donne; si sa meno che il diritto di voto fu riconosciuto, istanti dieci maestre di Senigallia, nel 1906 da una sentenza - poi annullata in Cassazione - della Corte di Appello di Ancona, allora presieduta da un grande giurista quale Lodovico Mortara; è ancor meno noto che il caso ha voluto che nel 1919 Mortara sia stato il guardasigilli che fece approvare dal Parlamento la legge che riconobbe la capacità giuridica delle donne con abrogazione dell'istituto della autorizzazione maritale e le ammise alle professioni. La prima avvocata fu Elisa Comani di Ancona, subito difensore nel 1920 in un grande processo politico frutto dei turbamenti sociali che precedettero il fascismo. Il curatore Nicola Sbano nell'introduzione, scopre il filo rosso che lega la sentenza del 1906 alla successiva legge del 1919, una delle ultime alte espressioni dello stato liberale prima del suo travolgimento. Il libro, corredato di un'interessante appendice documentale, si compone di quattro saggi a firma di Franco Cipriani, giurista e storico dei 'patres' del diritto processuale italiano, di Marco Severini, storico della politica, di Luigi Lacchè, storico del diritto, di Francesca Tacchi, storica e già autrice del primo volume di questa collana, che trattano la vicenda del 1906 e quella che seguì alla legge del 1919 e i protagonisti delle stesse, dai rispettivi punti di osservazione scientifica. La storia forense è fusa con la storia del diritto divenendo assieme a questa parte della storia civile e politica del Paese.
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