Lettere
Le 392 lettere di Salvator Rosa (1615-73), che ci sono pervenute, sono una delle maggiori testimonianze biografiche dell'intero Seicento italiano; esse ci rivelano aspetti insoliti e intimi della vita e della personalità di uno dei più noti artisti dell'epoca. Il carteggio, mutilo per la perdita delle lettere dei corrispondenti, si dipana nell'arco di trent'anni, dal 1640 a pochi giorni dalla morte, fornendo notizie sul suo lavoro, gli stati d'animo, le vicende familiari, l'intensa amicizia che lo legò a Giulio Maffei e Giovan Battista Ricciardi, i principali corrispondenti. La fama di pittore 'maledetto' ha accompagnato a lungo quest'artista, che tende a sfuggire a ogni definizione: nella pittura di paesaggio, allora la più apprezzata, Rosa inventa una natura tempestosa e sconvolta, resa con forte espressionismo pittorico, che il Settecento giunse a definire con i concetti di 'pittoresco' e di 'sublime', e in questa visione 'protoromantica' è racchiuso il suo maggiore lascito. Aggressivo ed esibizionista nella polemica difesa della propria arte e delle proprie idee, lontano dal giro degli incarichi pubblici, Rosa lavorò di preferenza per una cerchia di amici e di amatori 'illuminati'. Oltre a ciò dalle sue lettere emergono anche i tratti di forti contraddizioni: disprezzava il successo di molti suoi contemporanei e allo stesso tempo ambiva ad eseguire pale d'altare, segno di maggiore considerazione e, soprattutto, di notorietà presso un ampio pubblico; mentre si lusingava dei favori di una committenza 'alta', affermava allo stesso tempo la libertà dell'artista con un atteggiamento insolito per i tempi, e molto 'moderno', sostenendo di dipingere per propria soddisfazione e solo se 'ispirato'. Le lettere sono state raccolte da Lucio Festa.
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