Naufragi senza spettatore. L'idea di progresso
Ha scritto Paul Valéry: "All'idolatria del progresso si contrappose quella della sua maledizione: si sommarono, così due luoghi comuni". Ha scritto Walter Benjamin: " Non c'è mai stata un'epoca che non si sia sentita, nel senso eccentrico del termine, 'moderna'", e non abbia creduto di essere immediatamente davanti a un 'abisso'. Per chi accetta entrambi questi pensieri, per chi si accorge che entrambi danno una sorta di folgorante espressione a pensieri da lungo tempo coltivati, per chi li assume entrambi come "veri" che significato hanno le filosofie, le teorie e i discorsi sul progresso elaborati nell'età moderna? Alla modernità appartiene anche la fede nel progresso, appartengono anche le filosofie e le teorie del progresso. Che significato hanno quelle teorie e come si articolano nel momento della "fondazione" della modernità? Come coesiste la considerazione del sapere come "crescita" con le affermazioni dei cicli temporali e dei grandi 'naufragi' delle civiltà? Come e perché l'immagine del sapere come crescita, come viaggio in un Oceano sconosciuto si è saldata a filosofie della storia che prospettano come garantito l'esito felice di quell'avventura? Questo libro affronta i mutamenti ai quali sono state sottoposte le nozioni di 'crescita' e di 'progresso'. Lo fa richiamandosi a testi di filosofi, scienziati, letterati, rimescolando le carte, mettendo in discussione molti luoghi comuni consolidati, prospettando ai disinvolti costruttori di "quadri epocali" una impressionante serie di anomalie. La storia delle idee coincide qui con il piacere di scoprire, mettere in relazione, organizzare un percorso, mettere in causa, direttamente o indirettamente, le certezze del presente.
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