L'ansia si specchia sul fondo
Il modo in cui gli uomini si comportano in mare fornisce le metafore più significative di un'esistenza il cui suolo non può essere mai abbastanza solido per far dimenticare l'immagine del rischio nautico. Per questo Hans Blumenberg torna ad osservare le navigazioni perigliose. In "Naufragio con spettatore" il ruolo principale era riservato a chi scruta il disastro nautico potendo contare, lucrezianamente, sulla sua felice estraneità all'evento; terra e mare si raffrontavano come il certo all'incerto e l'autoconsapevolezza del filosofo nasceva da questo spettacolo. Ora è il filosofo stesso a imbarcarsi e incorrere in un naufragio. Perché dunque si abbandona la sicurezza del suolo per la dubbia affidabilità del mare? E perché si decide di navigare, cominciando una 'ricerca' che può riservare le sorprese di quella di Odisseo, ma non lo stesso esito felice? Blumenberg indaga innanzitutto il linguaggio quotidiano per svelare origini e differenze di espressioni quali andare a fondo, andare al fondo delle cose, stare con i piedi per terra, concludendone che per chi naufraga il fondo del mare è da sempre il punto fermo che nessuno poteva ancora trovare in vita: senza dubbio un'"ultima ratio", ma nel senso ironico di un fondamento dal quale non si può prendere le mosse e risalire a qualcosa di fondato. Proprio i naufragi descritti - tra gli altri - da Esopo, Goethe, Nietzsche, Thomas Mann, Simmel e Heidegger mostrano come esporsi all'estremo pericolo è il prezzo per giungere dal tormento del dubbio alla certezza. Il disastro nautico, scrive Blumenberg, è dunque l'infortunio tipico del pensiero, la via obbligata per arrivare alle cose ultime o penultime.
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