Il farmacista di Auschwitz
Un'implacabile testimonianza sulla banalità del male.«Il possente libro di Schlesak – in cui c'è un unico personaggio immaginario, il deportato Adam, che tuttavia riferisce fatti oggettivi e parole realmente dette da vittime e da boia e in cui il narratore è solo un impersonale protocollo di eventi, deposizioni e dichiarazioni raccolte – è un indimenticabile affresco del male, degno dell'"Istruttoria" di Peter Weiss e, nella sua secca sobrietà epica, altrettanto intenso» – Claudio MagrisViktor Capesius, il farmacista di Auschwitz, seleziona personalmente le vittime da mandare al rogo, le fa spogliare per mandarle a morire, distribuisce dosi di Zyklon B, il gas letale. Fra i condannati, non solo sconosciuti, ma anche tanti suoi antichi vicini di casa della cittadina rumena di Sighișoara, gli stessi che in una fotografia degli anni Trenta lo circondano sorridenti in uno stabilimento balneare. Tutti suoi compaesani, come Ella Salomon che da ragazzina entrava nella sua farmacia per ricevere in dono qualche caramella, e che ora si arrampica fino alla piccola feritoia del vagone dei deportati per cercare un po' d'aria, nel tentativo di non impazzire; il dottor Mauritius Berner, che appena arrivato al campo si vede strappare dalle braccia, mute e atterrite, le sue gemelline di soli sei anni, che moriranno poche ore dopo; o Adam, il deportato costretto a entrare a far parte del Sonderkommando Crematori, un uomo che ancora oggi, dentro di sé, custodisce ricordi che sono come bestie nere.